mercoledì 2 settembre 2009

Francesco Gesualdi, verso un altra via

Vorrei proporvi questa interessante intervista fatta a Francesco Gesualdi, allievo della scuola di Barbiana di Don Milani e uno dei principali promotori della rete Lilliput. Francesco ha recentemente scritto un libro: "L'altra via", in cui affronta una profonda riflessione sul nostro sistema economico globale criticando la sua inadeguatezza nel far fronte ai limiti strutturali che impone il nostro pianeta dalle risorse finite. Una sorta di "limiti dello sviluppo" moderno ma interpretato in chiave di giustizia sociale e modelli economici alternativi, capaci di ridare dignità e giustizia a tutti coloro che riusciranno a cambiare radicalmente i propri stili di vita, premessa indispensabile per conseguire una nuova economia capace di vincere la crisi.

Mi rivolgerei subito al "cuore" di "L'altra via", ovvero la necessità imprescindibile di orientare il corso economico non più verso la crescita, bensì verso l'elaborazione di un sistema che garantisca dignità per tutti attraverso un apparato produttivo "leggero".

Si tratta di un'esigenza la cui soddisfazione non può attendere oltre. Troppi i sintomi che lo confermano: l'esaurimento delle risorse, la degenerazione ambientale, l'impossibilità oggettiva di smaltire la quantità di rifiuti prodotta. Gli obiettivi di un sistema economico che contempla la crescita come sua unica ragion d'essere non sono più perseguibili. Il problema, però, è ancora più radicato. Viviamo in un mondo nel quale i diritti sociali sono legati esclusivamente alla crescita. Senza di questa, essi scompaiono. Ecco perché la necessità di riformulare il nostro sistema economico non è più rimandabile.

L'ecologismo ha comunque compiuto passi determinanti negli ultimi vent'anni.

Non sono sufficienti, forse perché non è solo un problema di ecologia, ma di "sistema". I comportamenti virtuosi, comunque fondamentali, non bastano da soli a contenere o addirittura risolvere il problema. La "scoperta" delle buone pratiche da parte della nostra società è stata senz'altro importante, anche perché è figlia di quella visione che vuole la società come il prodotto diretto del comportamento dei singoli. Langer diceva: "Il passaggio a una società ecologica deve essere socialmente desiderabile". Aveva ragione. Le buone pratiche non devono rappresentare un ostacolo alla vita, piuttosto che un oggettivo vantaggio.

Che cos'è il "limite"? Esiste una formula sintetica per questo concetto?

Non c'è, a mio avviso, una risposta univoca a questa domanda. La realtà stessa delle cose suggerisce una difinizione di "limite". Rispettare il limite significa mantenere il nostro stile di vita al passo con la capacità di rigenerazione espressa dalla natura. Per far sì che questo sia concretamente realizzabile bisogna formulare un altro paradigma economico. Un paradigma che per sostentare uno stato di diritto non debba necessariamente cedere alle deforestazioni o al consumo indiscriminato dei minerali o del petrolio presenti sul pianeta. Il limite è ricoscere la necessità di conservare e preservare anche per le generazioni che verranno. Cosa mai ci autorizza a "spolpare" una risorsa limitata come il petrolio che si è creata nell'arco di milioni di anni? Ecco, il limite non è solo una questione di quantità, ma soprattutto di atteggiamento. Detto in una formula semplice e concreta: la giusta misura delle cose.

L'uomo per sopravvivere deve obbligatoriamente corrispondere alcuni bisogni fondamentali. La gestione di questa condizione connaturata è, sembrerebbe, il perno di molti dei problemi connessi al consumo e alla creazione di richezza. Prima ancora che si operi una revisione di questo meccanismo, quali sono i bisogni che comunque è necessario privilegiare?

Si può operare una distinzione molto semplice dei bisogni. Essi si dividono in fondamentali e opzionali. Questi ultimi sono spesso legati al gusto della persona e non sono determinanti per il mantenimento della sua dignità. Ed è proprio questa la misura che discrimina la scelta: la dignità. La dignità di cibarsi quanto è necessario, di provvedere alla propria igiene personale e a quella collettiva. Ma anche la dignità di poter ricorrere a quella quantità di energia necessaria alla propria sopravvivenza, alla possibilità di poter contare su un alloggio. Bisogna dislocare questi diritti fondamentali in un luogo "altro" rispetto all'ossessione della crescita, essi non possono essere legati a doppio filo alle sorti di un sistema economico. Quest'ultimo dovrebbe sostenerle, non esserne la causa. La premessa della nostra vita non può essere il mercato. I diritti fondamentali devono sempre avere la priorità sul resto.

In questa prospettiva qual è lo spazio destinato al mercato?

Una cosa è certa: i bisogni non posso appartenere al mercato, semplicemente perché le regole di quest'ultimo non sono assimilabili alle nostre necessità primarie. Il mercato è preclusivo: non ammette chi non ha denaro. I diritti devono essere garantiti alla collettività, perché essi appartengono all' "economia pubblica". Se il mercato attuale è il solo pilastro dello stato di diritto, questo è un problema serio. Il sistema non funziona più e, davvero, in questo caso non può morire Sansone con tutti i Filistei.

E lo spazio, invece, destinato al denaro?

Il denaro è uno strumento antico, sorto contemporaneamente al processo di scambio. Di per sè è un mero mezzo operativo per la funzione di uno specifico sistema di rapporti; è il fatto che diventi un idolo, un feticcio, a renderlo opprimente. La dittatura del denaro si supera con un ritorno al lavoro, con una partecipazione diretta ai servizi, la stessa che potrebbe svincolarci dall'ossessione della crescita economica. Dovremmo ricondurre il denaro in una prospettiva economica nella quale le relazioni tra le persone abbiano una maggiore importanza rispetto al denaro stesso e ne riducano il ruolo. Sarebbe interessante e utile, in tal senso, tornare a forme di scambio più dirette.

Qual è stata la genesi di "L'altra via"?

Quest'ultimo lavoro non è foriero di particolari novità rispetto a quanto scritto da me altrove. Mi sono reso conto, nel tempo, che i lettori si soffermano molto sulle componenti relative alle buone pratiche quotidiane, trascurando così il quadro d'insieme. Queto mio ultimo tentativo, pur nella sua estrema agevolezza, si concentra proprio su questa componente "teorica". Cerco di dimostrare come l'economia sia fondamentalmente un'esperienza "vissuta" da tutti, non un soggetto estraneo. Un fenomeno in fondo semplice, composto di tante piccole relazioni che riguardano anche e soprattutto il nostro approccio alle cose di tutti i giorni.

Il tuo auspicio dopo la conclusione dei lavori?

Mi auguro di cuore che si apra finalmente un dibattito, soprattuto a sinistra, ovvero in quel luogo della politica dove problemi come quelli esposti nel mio libro dovrebbero trovare una loro naturale collocazione. Mi chiedo spesso: fino a quando la sinistra vorrà procedere al traino dell'agenda dell'attuale potere economico? I partiti devono assimilare - è ormai prerogativa assoluta - una lungimiranza rispetto ai problemi della crescita e del limite. Direi che, date queste premesse, il libro misurerà la sua riuscita in base al dibattito che riuscirà a sollevare.


Io credo che quanto scritto da Francesco Gesualdi offra spunti di riflessione pressoché infiniti, specialmente alla luce della disastrata situazione italiana dove vige ancora imperante un modello di comportamento economico e politico orientato ad un concetto di crescita che praticamente non esiste più. La sinistra di questo dovrebbe finalmente prenderne atto e farsi carico di sviluppare questo profondo e radicale mutamento sociale, lungimirante ma inevitabile.

Leggi l'intervista completa sul sito dei comuni virtuosi.

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